Processo Perseo: in aula truffe assicurative e cambi assegni

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-di Claudia Strangis
Lamezia Terme – Le presunte estorsioni e le truffe alle assicurazioni sono state il fulcro dell’udienza di oggi al Tribunale di Lamezia nell’ambito del processo Perseo. E dopo i tre testimoni di oggi, sono pochi ancora i testi della pubblica accusa da ascoltare davanti al collegio presieduto dal giudice Carlo Fontanazza. Al centro dell’esame del primo teste una presunta estorsione. La vittima sarebbe stata Vincenzo Curcio, titolare di due stazioni di servizio sull’autostrada. L’estortore sarebbe stato Angelo Torcasio, detto “porchetta”, che avrebbe estorto al Curcio, come ha raccontato agli investigatori quando è diventato collaboratore di giustizia, diecimila euro. Versione che in aula è stata smentita dal Curcio che, rispondendo alle domande del pubblico mistero, non ha negato di avere dato i soldi al Torcasio, ma come atto di “cortesia”, per risolvere alcuni problemi di salute della moglie, un prestito come anticipo sulle forniture di prodotti da rosticceria per i suoi negozi. Versione che, probabilmente, non ha troppo convinto il giudice Fontanazza che, al termine dell’esame del pubblico ministero Elio Romano, ha chiesto delucidazioni al teste per chiarire come mai avesse prestato una somma del genere ad uno dei suoi fornitori senza troppe domande.
Curcio ha più volte spiegato che la considerava una “cortesia” e un anticipo sulle forniture.
Sulle truffe e i certificati medici si è incentrata la seconda parte dell’udienza: le domande della pubblica accusa sono state tese a valutare le posizioni di due imputati, in particolare l’avvocato Giovanni Scaramuzzino e il dottore Carlo Curcio Petronio, accusati di essere implicati nel meccanismo delle truffe assicurative.
Dettagliate, precise ed esaurienti le dichiarazioni degli altri due testi chiamati a deporre: Ugo Salvatore Vescio, ufficiale dei carabinieri e medico legale, ufficiale di alcune compagnie assicurative, tra cui la Zurich; e il direttore della filiale lametina della Banca Popolare del Mezzogiorno all’epoca dei fatti. Il medico della Zurich ha spiegato quali siano le modalità con le quali operava e opera ancora quando deve valutare i danni effettivi subiti dal cliente dell’assicurazione. Il rapporto con la compagnia assicurativa e il medico cominció, come ha spiegato in aula, nel 2007/2008, quando divenne medico fiduciario Zurich su Lamezia e Catanzaro. Ha negato alcun rapporto diretto con l’agenzia lametina perché gli incarichi gli venivano affidati per via telematica, direttamente dall’ispettorato. Nell’ambito di questa attività professionale, Vescio ha chiarito di aver avuto modo di conoscere il dottore Petronio, che in un’occasione gli telefonò per lamentarsi delle critiche nei confronti dei suoi certificati.
Vescio, infatti, ha spiegato che erano senza timbro e con una firma non identificabile, e che, subito dopo questa telefonata, i certificati arrivarono con il timbro identificativo. Nel raccontare il suo lavoro in quegli anni, rispondendo alle domande del pm, ha parlato di un incremento del 60% sugli infortuni dovuti ad incidenti, in particolare delle lesioni lievissime dal 2010 al 2012 e che, anche in diversi casi, non c’era congruenza tra il tamponamento lieve e i danni dichiarati e riportati dal conducente del veicolo.
Su pratiche specifiche si è concentrato il contro esame dell’avvocato Murone, che difende il dottore Petronio, che ha sottoposto all’attenzione del teste una relazione da lui redatta ed allegata agli atti processuali e che riguardavano due casi specifici che dalla pubblica accusa sono stati ritenuti come dei “falsi sinistri”.
I casi sottoposti all’esame del teste riguardavano Giuseppe Giampà e un certo De Martino.
E rispondendo alle domande dell’avvocato Murone, il teste Vescio ha riferito sulle diagnosi cliniche effettuate da medici e cioè dal pronto soccorso, dal dottore Petronio e da altri medici di fiducia che avevano stilato anche essi certificati di malattia. Soggetti che sono stai anche sottoposti a visita dal Vescio in qualità di perito dell’assicurazione al fine di accertare se quanto dichiarato dai precedenti medici nei loro certificati fosse vero o falso. Dall’esame del Vescio è emerso che le patologie certificate potevano ritenersi sussistenti, quindi non false. Infatti il Vescio in aula ha riferito che lui doveva esprimersi “sulla compatibilità tra le lesioni e quello che veniva riportato precedentemente da altri medici”. Riconoscendo, poi, nei fatti l’inabilità che dava diritto al risarcimento.

L’esame del pubblico ministero Elio Romano e il controesame dell’avvocato Siracusano sull’ultimo teste della giornata, il direttore della filiale lametina della banca, hanno ricostruito il meccanismo con il quale si cambiavano gli assegni assicurativi. Il direttore ha raccontato dell’episodio in cui Giuseppe Giampá fu accompagnato dall’avvocato Lucchino per depositare un assegno di 18 mila euro. Lucchino non era però, come ha evidenziato il direttore della filiale, l’unico avvocato a presentarsi in banca, anche l’avvocato Giovanni Scaramuzzino era solito cambiare gli assegni. Una pratica che non era illegale ma che diventò sospetta, dopo una serie di ripetuti movimenti bancari con alcune anomalie e che, per tale motivo, il direttore chiese quindi di attenuare i movimenti, perché come ha spiegato più volte, permane la mission commerciale delle banche, pur ritenendo fondamentale e imprenscindibile garantire la sicurezza. Chiusa questa testimonianza, l’ultimo teste ha poi deciso di rinunciare a parlare davanti al collegio giudicante. Rinviata a mercoledì prossimo l’udienza, quando dovranno comparire altri tre testi chiamati dalla pubblica accusa.