Lamezia Terme – “Davanti alla gran curti non si parra, pochi paroli e cull’occhiuzzi ‘nterra, l’omu chi parra assai sempre la sgarra! Culla sua stessa lingua s’assutterra”. E’ un antico detto della ‘ndrangheta che è l’unica delle organizzazioni criminali di stampo mafioso operante in Italia ad aver mantenuto i riti che la contraddistinguevano nel passato. In quanto società segreta nell’arco della sua storia ha sviluppato molti riti per ogni occasione. Vengono trasmessi o oralmente o tramite dei codici, i quali sono stati rinvenuti varie volte dalle forze dell’ordine, o anche tramite audiocassette o Cd in forma musicale autoprodotta. Gli sgarristi tradizionalmente hanno come riferimento i cavalieri Minofrio, Mismizzu e Misgarru. Lo sgarrista prima dell’introduzione della Santa era il grado più alto in seno all’onorata società col quale si poteva assumere il comando di una locale. Tradizioni che ancora oggi vengono rispettate come si evince dalle dichiarazioni di alcuni componenti della ‘ndrangheta lametina che si sono pentiti diventato collaboratori di giustizia. A spiegare come la ‘ndrangheta lametina amministra il territorio di competenza attraverso il “governo” di una cosca è stato Saverio Cappello che appunto ha delineato quello che è il governo della “cosca Giampà” di cui lui è entrato a far parte nel 2004. A capo del “governo” che non adotta tagli lineari, ma diretti eliminando coloro i quali danno fastidio alla loro gestione, è Francesco Giampà detto il professore, al quale l’organizzazione lo riconosce con due appellativi, con quello di Minofrio e Giuseppe Mazzini. La ‘ndrangheta fa anche ricorso alla storia per riconoscere i suoi capi. Ma perché la ‘ndrangheta ricorre alla storia? Forse si sentono dei liberatori, dei rivoluzionari. Ma liberatori di quale oppressione e rivoluzioni rispetto a cosa?. Però fanno ricorso alla storia per riconoscere i capi. Come lo fu Giuseppe Mazzini che con l’obiettivo di liberare l’Italia dal controllo della monarchia e dal Papa, fondò la Giovane Italia, movimento composto da un gruppo di rivoluzionari, i rivoluzionari della Giovane Italia per portare avanti la strategia ebbero bisogno di soldi e per procurarsi da vivere rapinarono banche, saccheggiarono o bruciarono le aziende se da queste non veniva pagato il pizzo, sequestrarono persone per ricavarne un riscatto. Ed in tutta Italia si diffuse l’acronimo MAFIA – Mazzini- autorizza- furti – incendi-attentati. Questa frase è stata accorciata nella sigla Mafia e nasce da quel momento la criminalità organizzata. Sarà per questo che il professore è stato identificato così dai suoi accoliti????. Ma non è solo il “professore” che viene identificato con personaggi del risorgimento italiano. Ci sono altri elementi della cosca che ricoprendo ruoli di comando sono indicati con Giuseppe Garibaldi e Ferdinando La Marmora. A spiegare tutto ciò fu Cappello riferendo che della “ Santa” ne fanno parte tre persone “a capo diciamo – spiegò agli inquirenti – il primo in testa è Franco Giampà, il secondo è Aldo Notarianni, il terzo è Vincenzo Arceri”. Cappello che stava per ricevere il “vangelo” che è un’associazione in seno alla stessa organizzazione criminale, di cui gli appartenenti vengono denominati vangelisti, e che sono un grado superiore ai santisti e inferiore ai quartini, ai magistrati che lo interrogarono il 20 gennaio del 2012, negli uffici della Squadra Mobile di Salerno, riferì che a dargli la “prima copiata” furono “Francesco Giampà, quale capo società, Aldo Notraianni, quale contabile, Vincenzo Arcieri quale puntatolo, Domenico Chirico quale mastro di giornata e Maurizio Molinaro, quale capo giovane”.
Cappello riferì altro. Agli investigatori raccontò che il “padrino” era “Giuseppe Giampà” dote che avrebbe ricevuto dal padre Francesco nel carcere di Bologna. Ma c’è ancora altro il Clan, secondo il collaboratore di giustizia, che si è pentito per timore di essere eliminato, “possiede una sorta di “libro nero”, in cui sono inclusi i vari soggetti che la cosca deve eliminare”.