Processo Perseo: Giampa’ ricostruisce le posizioni degli indagati

Aula Tribunale Lamezia, processo  Perseo

Aula Tribunale Lamezia, processo
Perseo

di Claudia Strangis

Dal sito riservato in video conferenza, è tornato nuovamente a deporre il pentito Giuseppe Giampà, il “padrino” della cosca di cui è stato reggente fino alla sua collaborazione con la giustizia, per rispondere alle domande del pubblico ministero Elio Romano nell’ambito del processo scaturito dall’inchiesta “Perseo”. Nell’aula Garofalo del Tribunale lametino, davanti al collegio giudicante composto dal giudice Carlo Fontanazza e a latere dai giudici Francesco Aragona e Tania Monetti, il pentito ha risposto alle domande della pubblica accusa ricostruendo le singole posizioni degli imputati. Un racconto, il suo, durante il quale sono emersi nuovi particolari rispetto alle dinamiche interne alla cosca ed esterne ad essa, ma anche e, soprattutto, alle attività portate avanti dal clan. Parlando in particolare della figura di Vincenzo Arcieri, il pentito ha riferito che era “ai vertici della cosca e più affidabile di Rosario Cappello”. Giuseppe Giampà ha spiegato come fosse autorizzato a compiere estorsioni su tutto il territorio. In particolare, Giampà ha fatto riferimento ad una ditta di costruzioni, la “Bonaddio”, ritenuta “amica” e che avrebbe pagato una percentuale ad Arcieri per l’appalto al Parco di Scinà. E, sempre parlando di grossi appalti di lavori edili, il pentito ha riferito nello specifico di un lavoro, fortemente voluto e portato avanti da suo cugino Pasquale Giampà “Millelire” e da Antonio De Vito, titolari di un’azienda, per l’appalto ad una scuola di Polistena. In quella circostanza, Giampà ha ricordato come per ottenere i lavori di costruzione della scuola, De Vito fu inviato da Pasquale “Millelire” per intercedere presso Rocco Guarano della cosca dei Bellocco, scatenando il risentimento della famiglia Longo che, invece, controllava la zona di Polistena. Giuseppe Giampà ha ricordato come, in quella occasione, Vincenzo Longo “suo amico di vecchia data”, si lamentò più volte con lui di questa situazione e si presentò a casa sua per chiarire. “Garanzie con De Vito non ne prenderei perché non è affidabile” fu il commento di Giampà. “E infatti – ha commentato oggi in aula il pentito – non furono pagate le forniture di calcestruzzi e De Vito, Pasquale “Millelire” e Battista Cosentino cominciarono a fare scaribarile l’uno con l’altro”. Secondo Giampà più volte tentarono di recuperare i soldi di quell’appalto ma “più della metà andarono persi” e solo dopo fu messo a garante suo zio Vincenzo Bonaddio. Una commistione tra clan e appalti che veniva perpetrata anche con le ditte locali. L’azienda di De Vito e “Millelire”, infatti, si occupava anche di pulizia dei fiumi e dei torrenti lametini e Giampà ha spiegato in aula che la sabbia recuperata veniva ceduta ad alcune ditte, come quella di Piacente e Sgromo, per fare il calcestruzzo. “L’accordo tra Piacente e mio cugino – ha specificato Giampà – era una percentuale sui lavori, fissata a 3 euro al metro cubo di cemento”.

Audizione di Giuseppe Giampà

Audizione di Giuseppe Giampà

Per quanto riguarda il sistema truffe, più volte oggetto dell’esame e controesame dei pentiti in questo filone del processo, Giuseppe Giampà ha spiegato che questa attività cominciò ad intensificarsi dal 2008 in poi. L’ex boss ha raccontato che spesso frequentava la carrozzeria dei fratelli Trovato, che lui stesso ha definito “un porto di mare”, dove ha incontrato più volte anche esponenti di altri clan calabresi. Giampà ha raccontato che Franco Trovato mise a disposizione sua e di Saverio Cappello una password, riservata ai rivenditori, per un sito sul quale avrebbero potuto acquistare autovetture da utilizzare negli incidenti simulati. Il sistema dei sinistri, spiegato in aula anche nella scorsa udienza, era ben articolato e si avvaleva, per come ha raccontato Giampà, anche di alcune figure professionali, come avvocati (Giampà ha fatto riferimento agli avvocati Giuseppe Lucchino, Tiziana D’Agosto e Giovanni Scaramuzzino) e medici, come il dottor Carlo Curcio Petronio che effettuava, sotto un pagamento che variava dai 50 ai 100 euro, certificati medici falsi: “gli portavo 1000/1500 euro ogni volta e mi faceva 2-3 certificati per ogni persona coinvolta. Glieli portavo tutti assieme così arrivavo direttamente alla cifra”. Le truffe, portate avanti in maniera intensiva dal 2008 al 2011, arrivarono a fruttare alla cosca, in un biennio, oltre 200 mila euro lordi. Soldi che venivano utilizzati dal clan per l’acquisto di auto, Cid, droga, armi e pagamento dei killer: “la cocaina non rendeva come negli anni precedenti, soldi non ce ne erano come prima e Chirumbolo che spacciava per conto mio molta coca non c’era più”. La soluzione a questa moria furono, secondo Giampà, le truffe assicurative e lo spaccio di marijuana “che era più richiesta e quindi dovevamo adattarci al mercato”.

Aula Tribunale Lamezia, processo Perseo

Aula Tribunale Lamezia, processo Perseo

Il “padrino” ha poi raccontato di come insegnò ad Alessandro Torcasio “Cavallo” a costruire velocemente una bomba con la macchinetta del caffè, dopo essersi rifornito di esplosivo e polvere da sparo da Fausto Gullo che aveva una ditta di fuochi d’artificio a San Pietro Lametino e che su richiesta preparava gli ordigni da utilizzare per estorsioni e atti intimidatori. Intimidazioni che, in quegli anni, erano segnali che venivano lanciati spesso in città ed erano quasi all’ordine del giorno, come ha raccontato lo stesso Giuseppe Giampà in aula. Giampà ha raccontato della macchina bruciata al gioielliere Alberto Caputo, “bruciata in pieno giorno per dimostrazione”perché fece fare brutta figura al boss davanti a Saverio Cappello, o di quando decisero dal carcere, lui e Domenico Giampà, di compiere una serie di intimidazioni contro attività commerciali sotto il loro controllo dopo il pentimento di Angelo Torcasio “per sminuire le sue dichiarazioni e per creare confusione” come ad indicare che ci fossero altre persone che si stavano muovendo in zone e contro persone “che noi non avremmo mai toccato”.Conclusosi oggi l’esame del pentito da parte del pubblico ministero, nell’udienza di martedì prossimo sarà la volta degli avvocati della difesa procedere con le domande del controesame.