Perseo: Brigadiere Margiotta ricostruisce lo scenario criminale

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– di Claudia Strangis
Lamezia Terme – Un’udienza lunga, corposa e ricca di spunti dal punto di vista giudiziario, quella che stamane si è tenuta al Tribunale di Lamezia Terme nell’ambito del processo denominato “Perseo”. Nell’aula Garofalo al secondo piano del Palazzo di Giustizia lametino, unico protagonista il brigadiere della Guardia di Finanza, Vito Margiotta, comandante del nucleo mobile delle fiamme gialle lametine, che è salito sul banco dei testimoni per spiegare quali siano state le sue attività investigative in merito ad alcuni soggetti appartenenti alla cosca Giampà e imputati in questo procedimento. Più di cinque ore di interrogatorio durante le quali il brigadiere ha risposto puntualmente alle domande della pubblica accusa, nella persona del pubblico ministero Elio Romano, e della difesa. Margiotta ha ripercorso tutte le indagini compiute principalmente dal 2007 al momento dell’operazione nel luglio del 2013, ponendo la sua attenzione su quattro imputati in particolare: Antonio De Vito, Fausto Gullo e i coniugi Giuseppe Notarianni e Carmen Bonafè. Più lunghe e dettagliate le dichiarazioni del finanziere sui flussi monetari e societari della coppia che è stata, negli anni, oggetto di indagini da parte delle fiamme gialle per usura e riciclaggio di denaro. Secondo la ricostruzione di Margiotta i due utilizzavano una società di costruzione edile, la EdilNotar, come copertura. Sotto accusa una compravendita di villette bifamiliari, costruite su un terreno di proprietà di una terza persona ora deceduta, che avrebbe poi provveduto a girare tutti gli assegni ai due coniugi sui quattro conti correnti a loro intestati. Su questi movimenti si è concentrato il controesame dell’avvocato Aldo Ferraro, difensore della coppia. Il legale, punto per punto, esaminando tutti gli estratti conto e le vendite delle singole villette, ha tempestato di domande il brigadiere per avere delucidazioni in merito alle attività investigative. L’intenzione di Ferraro è stata quella di comprovare se le indagini dei finanzieri non avessero lasciato nulla al caso.

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Il brigadiere Margiotta ha risposto anche alle domande dell’avvocato Bitonte, difensore di Antonio De Vito, che si è concentrata sulla gestione delle ditte che facevano capo sia all’imprenditore edile che a Pasquale Giampà detto Millelire. Il finanziere, infatti, nella sua deposizione davanti al collegio presieduto dal giudice Carlo Fontanazza, aveva spiegato nello specifico le attività svolte nell’ambito dell’operazione denominata “Progresso”, successivamente passata in giudicato. Margiotta ha spiegato, infatti, di un grande flusso di capitali riconducibili ai due, nonostante le due ditte fossero intestate rispettivamente alla compagna di De Vito e alla moglie di Pasquale Giampà. Le indagini delle fiamme gialle portarono alla luce il modus operandi delle loro ditte: dopo l’estrazione di materiale inerte, imponevano l’acquisto ad un prezzo più alto rispetto a quello di mercato. Le ditte in questione, poi, riuscirono ad ottenere diversi appalti nella zona di Polistena, riconfermando gli assidui contatti esistenti tra la cosca Giampà e le altre cosche calabresi, tra le quali spicca quella dei Bellocco di Rosarno e altre attive sulla piana di Gioia Tauro. Ultimo a procedere con il controesame del brigadiere è stato l’avvocato Ortensio Mendicino che difende Fausto Gullo, altro imputato oggetto delle dichiarazioni e delle indagini del brigadiere negli anni, attenzione dalle forze dell’ordine per la sua attività di vendita di fuochi d’artificio e più volte accusato di essere stato colui che preparava gli ordigni per la cosca. Le contestazioni dell’avvocato Mendicino si sono focalizzate a determinare la paternità della ditta, intestata alla madre di Gullo, ma per le fiamme gialle gestita in toto da Gullo.
Dopo le ore intense di escussione del finanziere Vito Margiotta, sul banco dei testimoni è salito Saverio Ferrise, che ha confermato di avere avuto rapporti lavorativi con i fratelli Notarianni ì, poiché lavorava come muratore, ma ha negato quanto aveva affermato alla Guardia di Finanza nel 2010. Cinque anni fa, infatti, Ferrise aveva dichiarato di aver dovuto prestare a titolo gratuito attrezzatura per i lavori edili. Ferrise ha negato, inoltre, di aver emesso quattro assegni a Giovanni e Giuseppe Notarianni, e a Carmen Bonafè per ottenere liquidi tempestivamente.

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Continuando, appoggiandosi a una serie di “non ricordo”, e affermando di soffrire di vuoti di memoria, il teste ha negato quanto dichiarava nel 2010, confermando di aver avuto solo rapporti lavorativi con i Notarianni, nonostante più volte, sia il pubblico ministero che il presidente del collegio, abbiano provato a far ricordare gli avvenimenti e quanto da lui dichiarato in passato. Un esame che si è concluso con il monito del presidente Fontanazza nei confronti del teste: il giudice ha avvisato Ferrise che, nel caso in cui un medico non certifichi le sue amnesie, si procederà contro di lui. A seguire, la deposizione di Fabrizio Franceschi, commerciante lametino, che nel 2010 è stato ascoltato dalla Guardia di Finanza perché aveva emesso più di dieci assegni a favore di Pasquale Catroppa, Carmen Bonafè, Giusepe Notarianni, Concetto Trovato, Saverio Ferrise e altri, ma il teste ha dichiarato di non conoscerli e di non ricordare il perché di questa emissione, affermando “probabilmente per acquistare merce ma non sapevo chi fosse il beneficiario”. Dopo questa escussione, l’udienza è stata rinviata al prossimo venerdì.