Perseo abbreviato: storia del clan Giampà

perri-giuseppe-giudiceLamezia Terme – Sul piano giuridico le motivazioni della sentenza Perseo, rito abbreviato, frutto di un magistrale lavoro di un giudice attento e scrupoloso, quale è Giuseppe Perri, rappresenteranno uno dei più importanti capitoli della storia giudiziaria lametina. Le motivazioni, infatti, mettono in evidenza non solo le responsabilità delle venti persone condannate, ma la estraneità ai fatti contestati nei confronti di ben 36 soggetti che sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Soggetti coinvolti nell’inchiesta dai pentiti lametini, che hanno descritto un quadro probatorio, così si legge nella sentenza, “lacunoso ed inidoneo a delineare alcuno degli elementi costitutivi del reato in contestazione”.
Ma oltre a rappresentare un capitolo importante per la storia giudiziaria, questa sentenza potrebbe essere definita come il primo volume dell’enciclopedia sulla storia criminale di Lamezia ed in modo particolare sul clan Giampà. Quello che si delinea nelle ottocento pagine redatte dal magistrato  giudicante, è la ricostruzione di una delle più potenti cosche ‘ndranghetistiche calabresi. Il giudice Perri ricostruisce l’iter che ha portato al processo denominato Perseo, un procedimento unico nel suo genere, anche perché caratterizzato dalle innumerevoli collaborazioni di affiliati al clan, contributi che hanno “consentito di ricostruire compiutamente l’esistenza attuale, gli assetti e l’operatività dell’indicato sodalizio criminoso nonché le vicende criminose”.
Il processo Perseo rappresenta il seguito dell’operazione investigativa chiamata “Medusa”, ed ha ad oggetto “condotte delittuose poste in essere nel territorio lametino, negli ultimi dieci anni, tutte attuative, secondo la prospettazione accusatoria, del programma criminoso del clan ‘ ndranghetistico facente capo alla famiglia dei “Giampà’, operante prevalentemente in Nicastro”. Secondo il giudice, il procedimento penale “Medusa” ha mostrato “l’esistenza e il forte radicamento territoriale di tale associazione a delinquere di stampo mafioso”.
medusa-giampaL’esistenza della consorteria mafiosa, che fa a capo alla famiglia Giampà, è dimostrata“da reiterati provvedimenti giurisdizionali, a partire dalla fine degli anni ’90 sino a quelli più recenti, tra cui quelli emessi nei procedimenti penali denominati – oltre “Medusa”,  “Medea”,  “Minerva” e “Pegaso”. Fatti storici obiettivi e indagini giuridiche, si legge nelle motivazioni,  hanno fatto emergere la città della piana come un territorio “storicamente spartito tra tre diverse cosche aventi ognuna il relativo ambito di operatività: la cosca Cerra – Torcasio – Gualtieri, nell’ area del centro storico di Nicastro ed in località Capizzaglie; la cosca Iannazzo. capeggiata da Iannazzo Vincenzino detto “il moretto”’, nelle zone di Sambiase e Sant ‘Eufemia, e la cosca Giampà, tradizionalmente attiva nelle vie di Nicastro, Marconi e del Progresso, che negli anni ha progressivamente espanso la propria zona di influenza verso la montagna, inglobando la’ndrina degli Arcieri-Cappello ed in costante tentativo di espansione”. L’organigramma della cosca, messo a nudo dall’indagini, vede come capo assoluto dell’associazione mafiosa. Francesco Giampà “il Professore” .
L’evoluzione negli anni della cosca Giampà, per come ricostruita anche grazie agli apporti dichiarativi di alcuni collaboratori , era legata proprio all’ascesa del suo capo, indicato dal collaboratore Mazza come colui che aveva vinto negli anni ’90 la guerra contro la fazione riconducibile a Pasquale Giampà detto “Trangoniello”, e che aveva cosi ottenuto il grado di santista/criminale.
Francesco Giampà, inoltre, una volta ricevuto il grado di “criminale”, aveva ottenuto al contempo l’ingresso della sua “Locale” alle riunioni di ‘ndrangheta, che una volta all’anno si tenevano presso il Santuario di Madonna dei Polsi a San Luca. Sotto la guida del “Professore”, la cosca Giampà, tradizionalmente unita al clan Cerra-Torcosio- Gualtieri. si separava in maniera cruenta dal contesto di appartenenza.

Il luogo dove fu assassinato Giovanni Torcasio

Il luogo dove fu assassinato Giovanni Torcasio

A partire dal 29 settembre del 2000, data in cui si verificava a Lamezia Terme l’ uccisione di Giovanni Torcasio (capo dell’omonima famiglia e sino a poco prima ristretto in carcere). Sul territorio cominciava a consumarsi una serie di omicidi aventi come vittime gli appartenenti alle fami glie Giampà da un canto e Gualtieri -Torcasio dall’ altro. Omicidi finiti al centro di varie operazioni investigative, come la già citata “Pegaso”, che aveva ad oggetto proprio il tentato omicidio d i Umberto Egidio Muraca e gli omicidi di Vincenzo Torcasio (detto “U Carrà”) e di Francesco Torcasio ,cl asse 1991, (figlio di Vincenzo, detto pure “Carrà) avvenuti a Lamezia Terme, tra marzo e luglio 2011, e sintomatici del riacutizzarsi (dopo una breve tregua) dello storico contrasto tra la cosca Giampà e quella dei Torcasio, una guerra scoppiata per il controllo del territorio attraverso la riscossione delle estorsioni.
Per il giudcie “un apporto noto ed importante è stato dato dai collaboratori di giustizia, quali Angelo Torcasio, Battista Cosentino e Saverio Cappello, che hanno permesso di individuare le motivazione dell’attentato ai danni di Muraca, commesso per volontà di Giuseppe Giampà , reggente dell’omonimo clan e figlio

Umberto Egidio Muraca

Umberto Egidio Muraca

di Francesco “il Professore”- poiché il Muraca, insieme a Francesco Torcasio, aveva “sconfinato” territorialmente nelle richieste estorsive, andando a chiedere la tangente al proprietario di un costruendo distributore di carburanti , tale Martino, già vittima della consorteria dei Giampà. Circostanza poi confermata anche dallo stesso ex boss, Giuseppe Giampà, divenuto nel frattempo anch’egli collaboratore di giustizia, il quale, sin dall’ inizio del suo percorso collaborativo e ribadendolo con assoluta costanza: affermava di essere il reggente della cosca; forniva l’elenco degli altri affiliati, si assumeva la paternità di diversi reati posti in essere dal clan ; e, più segnatamente. si attribuiva la qualità di mandante di tutti e tre gli anzi detti episodi omicidiari, esponendo i dettagli relativi alle fasi delle rispettive azioni , le motivazioni, gli esecutori ed i partecipi . Il citato “sconfinamento” posto in essere dal Muraca non poteva essere ignorato e tollerato dalla cosca Giampà, in quanto avrebbe rappresentato una perdita di autorità e credibilità nei confronti degli imprenditori; cosi, allorquando – subito dopo l’ attentato subito – il Muraca si rivolgeva direttamente a Giuseppe Giampà (col quale del resto già intratteneva rapporti illeciti per lo spaccio di cocaina) per chiedere spiegazioni, quest’ ultimo pretendeva che lo stesso facesse da “gancio” per l’uccisione dei congiunti Torcasio “Carrà”, ricevendo in cambio salva la vita e la prospettiva di gestire l’attività estorsiva nel territorio di Capizzaglie, storicamente sotto il controllo per l’appunto dei Torcasio”.

Alla collaborazione dell’ex boss, si legge nella ricostruzione,  “si sono aggiunte poi quelle di altri altri importanti sodali, tutti preposti a funzioni decisive, e in particolare di Umberto Egidio perseo-vasile-lam16-04Muraca, di Francesco Vasile (esecutore di molti dei più efferati fatti di sangue deliberati dalla cosca) e di Luca Piraina (le cui rivelazioni attualizzavano ulteriormente le conoscenze sulla cosca “Giampà”). Si aggiunsero, in un secondo momento, anche gli imputati Luciano Arzente e i fratelli Giuseppe e Pasquale Catroppa”.
Il giudice Perri spiega come “anche gli apporti d i questi collaboratori hanno permesso di acquisire rilevanti elementi di indagine nell ‘ambito delle dinamiche della cosca “Giampà” – idonei: per un verso a rendere granitici alcuni quadri probatori già acquisiti: per altro verso, a colmare in modo determinante diverse lacune investigative esistenti”. Contributi, fa rilevare il magistrato,   che “sono giunti da soggetti tutti “interni alla cosca” e che hanno “superato il vaglio di credibilità soggettiva e intrinseca, apparendo assolutamente univoche e convergenti”. Per il giudice Perri tutti i collaboratori sono da considerarsi “attendibili” e il loro dichiarato “genuino”. Il primo in ordine di tempo è stato Angelo Torcasio, che ha fornito “uno spaccato dall’interno della cosca. quanto alla struttura, ai componenti, alle attività illecite gestite e non ultimo, quanto agli equilibri che negli anni si erano via via creati, anche in conseguenza degli arresti operati “.

Angelo Torcasio

Angelo Torcasio

”Le dichiarazioni del Torcasio appaiono – secondo il giudice – assolutamente nitide e circostanziate nonché autonome, anche in considerazione del l’epoca della scelta collaborativa avvenuta prima delle altre, e spesso concordanti rispetto alle altre dichiarazioni dei collaboratori”. Questo vale anche per Battista Cosentino, secondo collaboratore in ordine di tempo, e “vicino al Torcasio”.
Le dichiarazioni di Saverio e Rosario Cappello hanno permesso di “ricostruire gli assetti della cosca e le astute strategie che i suoi vertici avevano adottato per inglobare in sé le fa mi glie Arcieri-Cappello,operanti nella zona della Montagna e sino a quel momento rimaste estranee alle dinamiche conflittuali esistenti tra la cosca Gualtieri e quella dei Giampà”.
Saverio Cappello viene definito più “influente” del padre, in quanto “risulta fonte diretta di numerosi accadimenti ed aspetti della vita della cosca, a partire dallo smercio dello stupefacente fin o alla disponibilità delle armi, ricostruiti ed illustrati con dovizia di particolari, precisione e coerenza”.
”Preziosissimo” viene definito il contributo dell’ex boss Giuseppe Giampa-Giuseppe-13-05Giampà, che è approdato alla scelta collaborativa come “ultima via percorribile”, viene definito credibile dal tribunale perché “ha reso propalazioni autoaccusatorie su fatti estremamente gravi, non ha esitato a rendere dichiarazioni contro i componenti della sua stessa famiglia d’origine e gli uomini a lui più vicini ; è dunque evidente come la scelta intrapresa sia “senza ritorno” e come proprio la sua necessità di trovare aiuto e rifugio nella giusti zia autorizzi a ritenere come astrattamente credibile (e salva qualsivoglia valutazione nel concreto) il suo contributo dichiarativo”.
Il collaboratore Egidio Umberto Muraca viene definito nelle motivazioni della sentenza,“una figura particolare nel panorama della criminalità organizzata lametina”, per il suo “rimbalzare” da una consorteria mafiosa all’altra.
Francesco Vasile, killer della cosca, viene ritenuto “utile” dagli inquirenti per la ricostruzione di numerosi omicidi, mentre Luca Piraina viene ritenuto “credibile e preciso per il numeroso apporto di informazione fornite” seppur nel suo arco breve di permanenza nel clan Giampà.
Ultimi, in ordine di tempo, Luca Arzente e i fratelli Catroppa, che vengono ritenuti dal giudice “genuini nel loro racconto”, soprattutto nel delineare le nuove dinamiche createsi nella consorteria mafiosa colpita dalle operazioni giudiziarie e dalle numerose collaborazioni. In conclusione secondo il giudice tutti i narrati dei collaboratori non possono che essere ritenuti “affidabili, genuini e spontanei”, per quanto rigurda l’esitenza della cosca.