Lamezia: “c’è una cupola politico-mafiosa che da sempre comanda e gestisce appalti?”

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Lamezia Terme – Un perverso intreccio “politico-mafioso” ha governato e governa Lamezia. È lo scenario che emerge dalle confidenze fatte qualche tempo fa da Massimo Di Stefano, uno dei primi pentiti di ‘ndrangheta, che tornò in Calabria per chiedere aiuto, dato che gli erano stati revocati i benefici previsti dalla legge.
Uno scenario inquietante dal punto di vista sociale ed economico, dal quale emerge come le cosche decidevano e decidano sul futuro di questa città fino ad influenzare le competizioni elettorali, scegliendo i candidati da eleggere e la colazione politica alla quale affidare il governo del territorio.
Un cupola “politico-mafiosa” che decideva anche sulle sorti di esponenti politici, come nel caso del segretario del Partito Social Democratico e candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale Antonio Mercuri, ucciso con due colpi di fucile l’11 maggio del 1986, mentre si trovava nella sua abitazione.
Fu definito un omicidio di stampo mafioso per le modalità con cui fu eseguito, ma fu un vero e proprio omicidio mafioso?
A distanza di anni la verità non è ancora emersa. Secondo il “pentito” Di Stefano a eseguire l’omicidio furono sì degli esponenti della criminalità organizzata lametina, ma che agirono su mandato di alcuni esponenti politici. Di Stefano non ha dubbi: «È stata una questione politica».
Il collaboratore di giustizia ha raccontato la sua verità (ovviamente da dimostrare) sull’omicidio Mercuri anche agli inquirenti, rivelando i nomi dei mandanti e l’esecutore materiale, anche se per il collaboratore di giustizia «non sono voluti andare in fondo a questa situazione, non hanno voluto indagare, non so che c’è sotto». Anche in questo caso gli inquirenti gli avrebbero consigliato di «stare zitto, di non parlare».
A ordinare l’omicidio di Mercuri per Di Stefano «sono stati due politici». Di Stefano indicò agli inquirenti quei nomi e anche quello del killer, «che faceva parte del clan al quale i due politici», sempre secondo le rivelazioni di De Stefano, «si erano rivolti per far eliminare il segretario del partito Socialdemocratico».
A riferirglielo fu lo stesso killer: «A me lo disse personalmente lui – confidò – che aveva sparato attraverso la finestra, insieme ad un’altra persona», di cui il collaboratore non ricorda il cognome ma solo il nome “Ciccio”. Fatti e circostanze che Di Stefano ha descritto al magistrato inquirente Giancarlo Bianchi quando lo interrogò. Il movente, per Di Stefano, probabilmente era da ricercare in contrasti politici.
Uno scenario, quello che descrisse  Di Stefano, «preoccupante: Lamezia era ed è governata dalle cosche che in ogni campagna elettorale hanno scelto candidati e coalizione da sostenere».
«L’obiettivo da raggiungere – spiegò Di Stefano – era uno solo: avere in cambio appalti, lavori, finanziamenti, favori».
Dalle confidenze di Di Stefano apparse chiaro che la ‘ndrangheta, oltre a condizionare il voto, condizionava e condiziona anche le scelte politiche dell’amministrazione chiamata a governare la città. Ombre che si addensano su tutte le competizioni elettorali, anche in quella del 1993. De Stefano, infatti, ha saputo che un grosso esponente politico venne a fare degli accordi con la mafia e non esita a riferire che «qualcosa c’è stato: c’è stato un avvicinamento, c’è stata una riunione», ma non aggiunge di più.
Per il momento non vuole scoprirsi, ma è pronto a rivelare «le sue verità». Oggi in piazza scendono gli uomini, proprio quegli uomini dell’antimafia.  Di Stefano ha partecipato indirettamente all’omicidio di qualcuno non come esecutore, ma come collaboratore “logistico”, in risposta al suo tentato omicidio.
Di Stefano, infatti, nell’ottobre del ’91 uscì miracolosamente indenne da un agguato, probabilmente riuscendo ad identificare gli autori, in A. D. e A. M. e De Stefano pensò di vendicarsi programmando l’omicidio dei suoi mancati killer «non come esecutore», ma come collaboratore. Partecipò alla fase preparatoria, ma al momento dell’esecuzione non era presente perché si trovava in galera.
I due presunti killer, poi, furono uccisi uno nel ’93, il secondo nel ’94. Di Stefano, che all’interno del sistema ‘ndranghetistico lametino curava le estorsioni, era ed è un pozzo senza fondo: dice di conoscere anche fatti relativi alla morte di Antonio Perri e di disporre di elementi sui casi di lupara bianca. Dal 1984 non si hanno più notizie di sette persone e tra questi il padre del cognato di Di Stefano.